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Covid-19
La crisi sanitaria non devono pagarla le operaie alle periferie delle filiere globali

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Il nostro appello ai marchi della moda e ai distributori, anche online

Milioni di lavoratrici tessili in tutto il mondo perdono il lavoro, il reddito e mettono a rischio la loro salute e la loro vita

Ci impegniamo a fianco delle lavoratrici delle catene di fornitura dell’industria dell’abbigliamento e delle calzature, che sono tra le più duramente colpite dalla crisi attuale. In collaborazione con i sindacati e le organizzazioni della società civile, la Campagna Abiti Puliti, coalizione italiana della Clean Clothes Campaign, chiede ai marchi e ai distributori di moda in Italia e in tutto il mondo di assumere condotte responsabili nella gestione delle loro catene di fornitura.

Non spostate il peso della crisi sanitaria sulle operaie all’altro capo delle catene di fornitura!

  • Non annullate gli ordini, pagate i vostri fornitori rispettando i termini concordati, concedete proroghe dei tempi di consegna e non sanzionate in caso di ritardi o perdite di produzione.
  • Assicurate che le lavoratrici delle vostre catene di fornitura non siano licenziate, che i salari loro dovuti siano versati immediatamente e che i loro stipendi, le loro prestazioni ed eventuali trattamenti di fine rapporto, come previsto dalla legge, siano loro pagati durante la crisi.
  • Nelle fabbriche, nella logistica, nella vendita o nella distribuzione, la sicurezza dei dipendenti deve avere la priorità. Rilanciate le attività solo quando siete in grado di garantire la sicurezza e la salute di tutte le persone che lavorano nelle vostre catene di fornitura e solo se le raccomandazioni dell’OMS in materia di distanza fisica, igiene e dispositivi di protezione, sono messe correttamente in pratica.
  • Assicuratevi che le lavoratrici possano isolarsi e rimanere a casa senza essere soggette a sanzioni nel caso queste – o membri della loro famiglia – facciano parte di un gruppo a rischio o presentino sintomi di Covid-19. Rispettate il loro diritto di rifiutare di lavorare a causa dei rischi per la loro salute o la loro vita.
  • Assicuratevi che la pandemia non sia un pretesto per violare i diritti delle lavoratrici e discriminarle. Garantite il diritto alla contrattazione collettiva e alla libertà sindacale anche durante la crisi.
  • Anteponete le vite umane ai profitti: non versate dividendi o bonus mentre i dipendenti sono oggetto di licenziamenti o non ricevono il loro stipendio.
  • Impegnatevi per piani di salvataggio a favore delle persone più svantaggiate. Si devono attuare misure di aiuto e prestiti ponte per aiutare le lavoratrici delle catene di approvvigionamento, con l’obiettivo di salvaguardare i posti di lavoro, garantire loro il versamento dei salari e riassumere le lavoratrici che sono già state licenziate.

Impegnatevi anche per un’industria della moda più giusta subito dopo la pandemia

  • Assumetevi le vostre responsabilità in materia di rispetto dei diritti umani nelle vostre catene di fornitura e adottate misure per renderle più sostenibili, giuste e resilienti alle crisi
  • Assicuratevi che tutte le lavoratrici ricevano un salario vivibile, possano lavorare in condizioni sicure e abbiano accesso alle prestazioni sociali.

Decenni di sfruttamento e di condizioni di lavoro deplorevoli hanno mantenuto in povertà le persone, in gran parte donne, che lavorano nelle fabbriche dell’industria tessile globalizzata. Le operaie sono oggi colpite in pieno dalle chiusure delle fabbriche e dai rischi sanitari legati al Covid-19, mentre vivono già per la maggior parte in una situazione di grande precarietà e non hanno risparmi per far fronte alla situazione.

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    Approfondimenti

    Sulle catene di fornitura internazionali dell’industria della moda regna un grande squilibrio di potere. I marchi e i grandi dstributori decidono che cosa viene venduto e prodotto, fanno pressione sui prezzi e sui tempi di consegna presso i loro fornitori ma rifiutano le loro responsabilità per quanto riguarda la faccia nascosta del loro modello di affari: sfruttamento, salari miserabili, condizioni di lavoro precarie, danni all’ambiente e violazioni dei diritti umani.

    Alcuni marchi pagano i loro fornitori solo tre mesi dopo la consegna. Molti di essi non esitano ad annullare ordini e rifiutano addirittura di pagare quelli già prodotti, invocando una clausola di «forza maggiore», spesso poco difendibile sul piano giuridico. I proprietari delle fabbriche si ritrovano allora con la merce invenduta mentre devono sostenere i costi dei materiali e della manodopera.

    Nelle catene di fornitura dominate dai marchi della moda e dai grandi distributori, i costi e i rischi sono addossati ai fornitori e prestatori di servizi, e poi alle lavoratrici. La maggior parte delle fabbriche operano con margini esigui e non dispongono di riserve sufficienti o di accesso al credito per continuare a pagare il proprio personale in caso di chiusura o di produzione ridotta. Non hanno i mezzi per sopravvivere a periodi di violente turbolenze economiche e di forti riduzioni delle entrate finanziarie, come quella causata dalla pandemia di Covid-19. Le conseguenze: insolvenza, licenziamenti collettivi, salari non versati.

    Per ridurre i costi e aumentare i profitti, la maggior parte dei marchi della moda e distributori hanno volontariamente concentrato la loro produzione in paesi dove predominano salari miseri, oppressione dei sindacati e scarsa protezione sociale. Da decenni questa pratica permette loro di ottenere enormi profitti per i loro proprietari, i loro azionisti e i loro dirigenti, sulle spalle delle lavoratrici sfruttate. Pagate salari insufficienti per vivere, le operaie non hanno mai potuto mettere nulla da parte e si ritrovano così totalmente sprovviste di fronte alle pesanti conseguenze della crisi. Oggi milioni di famiglie che vivono già in condizioni di estrema povertà sono minacciate dal rischio di licenziamenti e di perdita di reddito. Per questo chiediamo ai marchi e ai distributori di assumersi le proprie responsabilità e di proteggere i posti di lavoro, la salute e la vita delle persone che fabbricano i loro vestiti.

    Molto prima della crisi attuale, le operaie vivevano già in una grande precarietà a causa dei salari di povertà, che sono la norma nell’industria tessile globalizzata. Non sono mai riuscite a mettere da parte i soldi per le emergenze. Per molte di esse, perdere il lavoro o non ricevere il proprio salario significa non poter più nutrirsi e rischiare di perdere la propria abitazione.

    Le gravi conseguenze sociali ed economiche della pandemia di Covid-19 colpiscono le lavoratrici del settore tessile sotto vari aspetti :

    • A causa del primo confinamento decretato in Cina, molte fabbriche non hanno potuto ricevere le materie prime necessarie alla produzione e hanno dovuto mandare il loro personale a casa, spesso senza stipendio
    • Quando la pandemia ha raggiunto l’Europa, alcuni marchi e distributori hanno cominciato a cancellare i loro ordini, spesso senza nemmeno pagare i vestiti già prodotti. Molte fabbriche, senza alcuna riserva finanziaria, hanno dovuto chiudere a causa della diminuzione del numero di ordini. In questo modo le lavoratrici hanno perso il lavoro o sono state temporaneamente rispedite a casa senza ricevere lo stipendio.
    • Quando la pandemia ha cominciato a colpire i paesi produttori, alcune fabbriche hanno dovuto chiudere temporaneamente per motivi di sicurezza e alcune lavoratrici sono state mandate a casa, spesso senza ricevere un salario e utilizzando mezzi di trasporto in cui i rischi di contagio sono molto elevati.
    • Nelle fabbriche che continuano o hanno ripreso a produrre, le misure di sicurezza sono generalmente insufficienti e le operaie mettono la loro salute, o la loro vita, in pericolo.

    Decenni di sfruttamento e di condizioni di lavoro deplorevoli hanno mantenuto nella povertà e nella precarietà gli operai, in gran parte donne, che lavorano nelle fabbriche di abbigliamento e di calzature. Esse sono oggi colpite in pieno dalle gravi conseguenze della pandemia.

    Cattive condizioni di lavoro sono anche sinonimo di cattive condizioni abitative. Le lavoratrici migranti, ad esempio, spesso vivono in numero molto elevato in alloggi collettivi, senza servizi sanitari sufficienti. In molte case, le donne sono inoltre costrette ad assumere ulteriori carichi di lavoro, come i compiti domestici, la custodia dei bambini e il lavoro di cura. Esse sono pertanto esposte a maggiori rischi.

    Le lavoratrici che difendono i loro diritti o quelli dei loro colleghi sono particolarmente minacciate. La pandemia e le misure adottate per affrontarla sono purtroppo utilizzate come pretesto per discriminare le persone e limitare le libertà sindacali. In alcuni casi, ad esempio, le lavoratrici sindacalizzate sono state le prime ad essere licenziate.

    Potete restare aggiornati qui e trovare ulteriori informazioni sulla situazione in diversi paesi sul Live-blog della Clean Clothes Campaign.

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